
Per la nostra società, ciò che conta è l'efficienza, la produzione e soprattutto il consumo, noi siamo consumatori ma non solo di beni e prodotti, siamo consumatori di vita, "la vita va vissuta" dicono i giovani imbottiti di droghe sintetiche...in questa prospettiva che significato dare alla sofferenza e al dolore? Nessuno! il dolore è il non senso della vita è ciò che limita la mia efficienza, ciò che mi toglie il gusto di vivere e se esso è invincibile, cronico, inesorabile allora è meglio morire... la vita che si trasfigura nella sofferenza sbiadisce il suo misterioso significato e l'unica strategia difronte al dolore è la fuga, la sua soppressione ad ogni costo...anche a costo della vita.
Anche chi professa una religione vacilla difronte alla sofferenza, specialmente quella "innocente" dei bambini e quanti hanno perso la fede perchè travolti da un grande dolore (pensiamo a quei genitori a cui è toccato sopravvivere ai figli)?
Ma che cos'è il dolore? Mi sono posto molte volte questa domanda...ho cercato nei vangeli una risposta e con grande meraviglia non ho trovato parole: al contrario ho trovato Dio stesso che ha deciso di provare il dolore e la sofferenza
"uomo dei dolori che ben conosce il soffrire" Isaia 53,1-10
ho travato la Madre di Dio a cui è toccato seppellire suo Figlio e ungerne il corpo trafitto da infiniti dolori.
Se Dio stesso, nel suo Figlio Gesù, ha deciso di salvare l'umanità attraverso il dolore, vuol dire che il dolore ha un significato, che nessuno soffre inutilmente, che nessun dolore è inutile. Dio ha fatto della sofferenza uno strumento di salvezza e chiunque stia ora trafitto su un letto d'ospedale può contribuire anche con la sua immobilità e apparente inutilità a salvare il mondo, fosse anche quel piccolo mondo che gli sta vicino per assisterlo. Ciò che ai nostri occhi sembra inutile è invece prezioso, ciò che sembra impotenza è invece salvezza o meglio compartecipazione alla salvezza e questo può diventare sorgente d'acqua viva nel deserto della sofferenza
"Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" Col 1,24
Ma c'è dell'altro...nella Bibbia un intero libro è dedicato al dolore: è quello di Giobbe nell'Antico Testamento. Giobbe non è un personaggio reale ma la sua storia è la sintesi di ciò che gli ebrei avevano capito dell'esperienza del dolore. A Giobbe, come molti di voi sapranno, accadono una serie incredibile di avvenimenti, da ricco diventa povero, i figli muoiono uno dietro l'altro e alla fine anche lui si ammala e sta per morire; come se non bastasse arrivano anche alcuni rompiscatole a fargli delle domande per saggiare la sua fede (da qui il detto "sei paziente come giobbe") ma all'inizio del libro sembrerebbe già arrivata la conclusione
"Nudo uscii dal grembo di mia madre e nudo vi ritornerò.
Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, benedetto il Nome del Signore" Gb 1,21
bhè tutto qui? Ovviamente no, tanto che siamo al primo capitolo...come a dire che difronte al dolore non ci può essere solo una cieca accettazione, c'è molto di più e infatti alla fine del libro, dopo aver provato ogni sorta di sofferenza Giobbe dice:
"Il mio orecchio aveva sentito parlar di te ma ora l'occhio mio t'ha veduto"
Nell'esperienza del dolore c'è quindi come un canale privilegiato per conoscere Dio: Dio si mostra a colui che soffre e a colui che soffre Dio dona se stesso.
Con il contributo di Fabio T. (insegnante di religione)
che ringraziamo e volentieri pubblichiamo